CENNI
STORICI SULLA VALCANALE E VAL DEL FERRO
Parlare di storia della Valcanale,
all’interno del contesto attuale, in cui l’abolizione dei confini
fisici e culturali è diventato simbolo di unione europea, deve
necessariamente passare attraverso l’analisi di quegli stessi
confini che, nel corso degli ultimi dieci secoli, sono variati col
succedersi delle dominazioni che hanno regolato la vita sociale
della valle.
E’ un compito arduo ma è pur sempre
necessario alla comprensione delle origini delle etnie che, da
sempre, qui dimorano.
Nel corso degli anni si sono sviluppati
tessuti sociali e forme tradizionali e culturali che hanno retto
all’usura del tempo, consolidandosi e tramandandosi nei secoli,
fino a formare un’identità montana che non ha vacillato
significativamente se non nel momento cruciale della prima guerra
mondiale.
Il trattato di Saint Germain del 1919 ha
stabilito nuove linee di confine, basate meramente sui luoghi
fisici e sugli interessi economici ad esse collegati. Questo fatto
ha creato una divisione forzata all’interno del contesto
identitario montano, all’epoca ancora omogeneo e per molti versi
condiviso in un’ampia regione riconducibile all’intero arco
alpino. Per le similitudini del territorio, per la necessaria
uniformità della vita e per il tipo similare di cultura rurale,
sussisteva una sorta di identità comune tanto radicata da
caratterizzare, per secoli, le popolazioni della montagna. Ciò è
riscontrabile non solo nella Valcanale e nel Friuli, ma più
genericamente nelle valli alpine, con contaminazioni estese anche
alle pianure pedemontane. Inoltre la valle ha sempre rappresentato
una porta aperta e un luogo di transito per scambi di ogni tipo
tra popoli anche molto diversi tra loro.
La catena delle Alpi è, in questo senso, più
che un confine, una porta e un luogo di fusione tra diverse
popolazioni.
Dall’anno 1007 la dominazione bamberghese in
Valcanale ha consentito il crearsi di condizioni favorevoli allo
sviluppo di un contesto sociale in lenta ma continua evoluzione.
Tale evoluzione, prevalentemente a base rurale per almeno quattro
secoli, ha poi dato vita ad una struttura commerciale, sbocciata
nella nascita della Stadt Markt Tarvis (1456). Questo fiorente
commercio scaturiva da antiche motivazioni dovute alla morfologia
della valle che era via di transito verso il nord europeo già in
epoca romana e forse anche in precedenza. Veniva così rafforzata
l’appartenenza alla regione della Carinzia, che era appunto
propaggine amministrativa del vescovado di Bamberga,
sovrintendente alle operazioni produttive e doganali. L’influenza
mediterranea era favorita dai contatti con la vicina Venezia che,
con il suo porto, serviva le attività commerciali e già aveva
intrattenuto, nei tempi passati, relazioni consistenti con il
territorio. Importante, in zona, è sempre stata l’attività
estrattiva delle miniere di Raibl e Bleiberg con la conseguente
lavorazione ed esportazione di zinco e piombo.
Il succedersi, nel 1759, della casa d’Asburgo
al vescovado di Bamberga e la crescita dei traffici del porto di
Trieste modificò in parte l’entità del passaggio delle merci che
ora poteva avvenire anche attraverso la via di Pflitsch (Plezzo-Bovec)
passando attraverso Raibl che era centro di estrazione mineraria
già dagli inizi del XV secolo e aveva favorito lo sviluppo di
un’intensa attività di battitura dei metalli, soprattutto nella
zona di Malborghetto e nel paese di Weissenfels dove, nella
seconda metà dello stesso secolo, sorsero importanti impianti
metallurgici.
Una struttura doganale, in aggiunta a quella
già esistente sulla via Romana, presso l’attuale farmacia, venne
quindi istituita a Tarvisio Bassa per la gestione dei nuovi
traffici provenienti da Trieste, attraverso Raibl. Nei pressi
della chiesa della Vergine di Loreto sorgeva l’antica muda o
centro doganale di Niederen Tarvis (Tarvisio Bassa), utilizzata
per gli scambi cerealicolo-vinicoli e di spezie e stoffe con il
Sud e verso l’Oriente.
Da questo momento in poi Tarvisio fu vero
centro di mercato e doganale; da una parte verso il Nord in
direzione di Carinzia e Germania dall’altra verso il Sud,
avvalendosi dei porti di Trieste e Venezia.
La cittadina acquistava già il suo carattere
multietnico con la presenza di ceppi di molteplice provenienza:
gli autoctoni potevano essere suddivisi nel ceppo celtico o
germanico e in quello slavo con agglomerati localizzati in
diversi paesi della valle; vi risiedevano poi abitanti di
origine italiana che avevano esercitato commercio e governato il
Friuli con sedi ad Aquileia, Cividale e Palmanova.
Negli ultimi anni del XVIII secolo
l’espansionismo napoleonico lasciò tracce tuttora riconoscibili:
la meticolosa stesura delle mappe catastali della valle risale
proprio a quel periodo ed in alcuni punti strategici, in cui
combatterono le truppe austriache contro i soldati francesi,
ancora oggi si commemorano i caduti di quelle battaglie.Vi fu però
una scarsa interferenza culturale da parte dei francesi in quanto
il breve ed alternato periodo della loro dominazione non consentì
il radicarsi di usi e costumi, anche perché la presenza francese
era sostanzialmente militare e burocratica.
Molto più complesso fu, invece, il periodo
successivo. Esso vide l’alternanza alla radice nordica
dell’influenza italiana che riusciva, a forza, a farsi strada
lungo il Canal del Ferro, modificando atteggiamenti e inibendo o
impedendo le consolidate forme tradizionali. L’Europa della prima
metà del XX secolo sarebbe stata interessata, da lì a poco, da
cambiamenti sociali e politici come mai in precedenza. Dopo la
prima guerra mondiale i confini subirono uno sconvolgimento tale
che, in Valcanale, le popolazioni autoctone non si potevano
riconoscere nelle nuove linee tracciate tenendo conto
esclusivamente degli interessi delle nazioni.
La presenza della miniera di Raibl e
dell’antica città mercato di Tarvisio oltre che degli impianti di
Weissenfels è stata certamente determinante per l’estensione dello
Stato italiano da Pontebba fino agli attuali confini. Alla
popolazione di ceppo germanofono della Valcanale venne però data,
pochi anni dopo, la possibilità di scegliere se far parte della
nuova Italia di Mussolini o optare per continuare ad appartenere
alla Germania di Hitler. Fu un momento di grande caos sociale,
caratterizzato dall’espianto di numerose famiglie dal loro
territorio ed il reimpianto in un altro Paese, amico per
tradizioni e cultura, ma pur sempre estraneo per economia e
relazioni sociali. Testimonianze confermano che, in alcuni paesi,
il tasso di trasferimento abbia raggiunto l’80%, causando una
radicale riorganizzazione dei centri urbani. La gestione dei
servizi fu presto affidata a friulani del Canal del Ferro,
l’amministrazione veniva invece assegnata a funzionari
provenienti dalle lontane città italiane. Anni di riassestamento
sociale furono inevitabili e, con questi presupposti, anche gli
ultimi indecisi optarono per la Germania, che esercitava ancora
una forte attrazione sulle popolazioni autoctone che riconoscevano
in quella nazione origini, costumi e cultura.
Si può affermare che vi fu una grande
condivisione del valore dell’idea di patria (Heimat).
Proprio quest’idea era il centro attorno al
quale ruotavano dubbi e perplessità: patria era il proprio luogo
nativo oppure l’appartenenza ad un ceppo linguistico e culturale?
Le scelte tra l’uno e l’altra furono soggettive ed ognuno si
regolò secondo valutazioni personali. Non secondario, nelle
decisioni, fu il fattore umano e sentimentale: alcune storie dal
sapore amaro riportano di come certe famiglie abbiano rinunciato
al trasferimento perché si sarebbero sentite usurpatrici delle
proprietà altrui in quanto, per far posto ai nuovi arrivati,
venivano allontanati i nuclei di origine ebrea o i dissidenti o
chi risultava indesiderato e scomodo ad un potere in rapida
riaffermazione.
Gli abitanti della Valcanale furono così
divisi ed allontanati dalle consuete relazioni sociali. “Rifarsi
una vita” non era più solo un modo di dire ma faceva parte della
realtà quotidiana, sia per chi, valicato il confine, si trovava
nella vicina Carinzia, sia per chi, rimasto nei paesi nativi, si
trovava ad aver a che fare con la nuova dominazione italiana che
non vedeva di buon occhio questi autoctoni ed individuava in essi
un pericolo antinazionalista. Quello che era accaduto a pochi
passi ed alcuni anni prima nel Canal del Ferro non era stato
dimenticato: vigeva, nella valle del Fella, il divieto di
partecipare a forme linguistiche e culturali di origine austriaca,
era in vigore una forte forma di nazionalismo ed era definito
“austriacantismo” ogni atteggiamento che potesse far trasparire
simpatia verso tradizioni, cultura e lingua tedesche. Venivano
tenuti d’occhio tutti coloro che manifestavano tendenze anti
italiane e spesso bastava una denuncia, basata anche solo sul
pettegolezzo, per procurare pedinamenti e controlli, se non
addirittura la costrizione a lasciare il paese per l’interno della
nazione. Ciò accadeva nel Canal del Ferro già da quando,
antecedentemente alla prima guerra mondiale, la Valcanale era
asburgica.
Quando successivamente, nei primi anni
quaranta, gli abitanti del Canal del Ferro poterono insediarsi, a
seguito delle opzioni, in Valcanale, numerosi vi trasferirono modi
ed atteggiamenti con ovvia dominante italiana dovuta a quella
efficace propaganda.
Quegli stessi Paesi che ora avrebbero dovuto
essere osteggiati, avevano fornito lavoro e sussistenza alle
popolazioni stanziali per lunghi anni, decenni e anche secoli.
Il periodo successivo riavvicinò in un certo
qual modo l’Italia all’Austria ed alla Germania e, con l’alleanza
della seconda guerra mondiale, la Valcanale ritornò a respirare
aria di casa anche se il clima non poteva certo ritenersi disteso
e fraterno. Forti interessi militari sovrastavano le relazioni
sociali che ancora una volta erano sovvertite e si poteva di nuovo
guardare di buon occhio l’oltreconfine. Ma ancora un cambiamento
attendeva la valle: la liberazione da parte delle Forze Alleate
reintroduceva la dominante italiana, riproducendo la frattura di
pochi anni prima.
Nel corso di trent’anni si era passati più
volte da una “sponda” all’altra e l’identità della valle era
dubbia e vacillante, a causa delle molteplici influenze e
costrizioni subite.
Le usanze di un tempo stentavano a riprendere
piede ed alcune di esse poterono sopravvivere solo perché
tramandate a rischio di emarginazione e delazione. Tra coloro che
erano rimasti era preponderante la volontà di intrattenere
rapporti, basati sulle usanze dei padri e vi era, inoltre, la
necessità di relazionarsi con chi, parenti o amici, si trovava al
di là del confine. Ciò risultava spesso difficile ed era
osteggiato (o a malapena consentito) dalle autorità, che vedevano
nel confine la garanzia della salvaguardia dell’integrità
nazionale.
Solo nel successivo trentennio queste
relazioni poterono rafforzarsi, dapprima in modo quasi nascosto ma
poi, con il sorgere di un’embrionale coscienza europea, più
liberamente.
Usanze e tradizioni riacquistarono lentamente
l’antico valore all’interno dei nuclei autoctoni germanofoni e la
difficoltà ad appartenervi, dovuta a fattori di discriminazione,
lasciava sempre più spazio alla riscoperta della propria identità.
Ora l’appartenenza ad un gruppo minoritario non comprometteva più
la libera espressione delle proprie opinioni, legate a fenomeni
sociali che sembravano essere d’oltreconfine ma che in realtà
appartenevano ad un unico popolo fino a pochi decenni prima.
La forza delle proprie radici e
l’appartenenza etnica trovarono espressione in un’identità che,
se si era irrimediabilmente perduta nei suoi caratteri originali,
esigeva ora di rinascere su nuove basi revisionate. Al fine di
riallacciare e di mantenere i rapporti sociali con le genti della
propria etnia nella vicina Austria, furono costituiti i primi
nuclei delle Associazioni Culturali della Valcanale. Il primo si
istituì in Italia nel 1979. In seguito anche in Carinzia, nel
1989, sorse un gruppo con le medesime finalità ed iniziò una
stabile collaborazione ed uno scambio sui temi dell’identità,
della cultura, della storia e delle tradizioni condivise. Un
solo popolo, apparentemente separato da linee di confine, che oggi
hanno fortunatamente carattere sempre più effimero, si riuniva.
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BIBLIOGRAFIA
Alcune delle immagini e delle informazioni storiche presenti
in questo sito web sono state prese dai seguenti testi:
Davide Tonazzi, "La Prima Guerra Mondiale sul Fronte Carinziano" - volume 1
Davide Tonazzi, "La Prima Guerra Mondiale sul Fronte Carinziano" - volume 2
Guido Aviani Fulvio, Bruno La Bruna, "1915-17 La Grande Guerra nelle valli
del Fella", Aviani editore
Edoardo Pittalis, Sandro Comini, Francesco Jori, "La nostra guerra",
Edizioni del Gazzettino
Heinz von Lichem, "La guerra in montagna - 1915-1918", Athesia
Societat Filologjche Furlane, "Tarvis"
Sito internet
http://www.fortificazioni.net
Sito internet
http://dibe.altervista.org/esame
"Confine Orientale e strategia difensiva prima della grande guerra",
Accademia Udinese di Scienze, Lettere e Arti
Luca Baldissara, Stefano Battilossi, "Corsi di storia e percorsi di
approfondimento - Volume 3", Sansoni per la scuola
Il Bollettino del 19 marzo1916:
In valle del Fella, i
nostri sciatori eseguirono ardite incursioni oltre il torrente Pontebbana e
su Leopoldskirchen. Nella notte sul 18, un nostro reparto da montagna, con
l'appoggio delle artiglierie, conquistò la posizione di Gelbe Wand, a
nord-est del Jof di Montasio (alto Dogna), cacciandone l'avversario e
prendendogli alcuni prigionieri. Rinforzi nemici accorrenti per Valle
Seisera furono tenuti lontani da tiri efficaci di nostre batterie".
Dogna
Via Roma 20 - 33010 - Dogna (UD)
Friuli Venezia Giulia
tel:0428 93000 fax:0428
93003
e-mail:segretario.dogna@eell.regione.fvg.it
pec:comune.dogna@certgov.fvg.it
web:www.comune.dogna.ud.it
Approfondimenti
Fred Pittino
Malga Plan dei Spadovai
Malga Sompdogna
Ricovero Battaglione Gemona
Ricovero Bernardinis
Storia
Dogna, il cui nome deriva dallo sloveno “dolénji”, sito in basso. Legato
storicamente alla vicina Chiusaforte, segui le stesse sorti Nel 1509 fu
bruciato e distrutto dalle truppe di Massimiliano I imperatore di
Germania.
È il più piccolo paese della Canal del Ferro o Val Canale. I bombardamenti
aerei degli angloamericani, nella seconda guerra mondiale, allo scopo di
distruggere il ponte ferroviario, senza per altro riuscirvi, hanno
distrutto l’ottanta per cento del paese, parzialmente risorto nel versante
sinistro.
Fred Pittino
Fred Pittino è nato a Dogna in Friuli nel 1906. Dopo aver ottenuto, nel
1924, il diploma di geometra, finì col dedicarsi esclusivamente alla
pittura tenendo, nel 1930, la sua prima personale a Udine dove un
gruppetto di giovani composto da Afro, Mirko, Grassi, Modotto, Piccini ed
altri stavano dando nuovo impulso alle arti friulane. Nello stesso anno si
trasferì a Milano dove sviluppò la sua personalità a contatto dei maestri
del 900 e dei giovani che in quel periodo agivano nell'ambito di Brera e
della Galleria del Milione, quali Birolli, Dal Bon, Spilimbergo, Sassu,
Tomea, Fontana, Conte ed altri di cui Persico ne era il vessillifero. Nel
1940 tornò definitivamente a Udine dove ebbe importanti incarichi per
l'esecuzione di affreschi e mosaici. Infatti per oltre 35 anni è stato
direttore artistico della Scuola Mosaicisti di Spilimbergo. Pittino ha al
suo attivo mostre personali a Venezia, Milano, Trieste, Roma, Gorizia,
Pordenone, Udine, Gradisca d'Isonzo, Portogruaro, Spilimbergo, Lignano.
Recentemente è stato invitato all'Art4'73 di Basilea; è stato presente
alla biennale 19.a, 20.a, 24.a, 25.a, di Venezia, alle quadriennali romane
e ad altre mostre collettive in Italia e all'estero. Sulla soglia degli
ottant'anni Pittino dipinge con rara gioia inventiva e con giovanile
baldanza: all'esaltante processo di decantazione del colore nella luce,
alterna episodi caratterizzati dalla polifonia e sonorità delle tinte, o
momenti di sublimazione di schegge della realtà, "raccontata" con la
freschezza di sempre.
Malga Plan dei Spadovai
Dogna, il cui nome deriva dallo sloveno “dolénji”, sito in basso.
Legato storicamente alla vicina Chiusaforte, segui le stesse sorti
Nel 1509 fu bruciato e distrutto dalle truppe di Massimiliano...
Proprietà:
Comune di Dogna (UD)
Quota:
1.116m slm
Dall’abitato di
Dogna, si attraversa il fiume Fella e si risale l’intera Val Dogna;
superate le piccole frazioni della vallata, dopo alcuni tornanti, si
giunge a malga Plan dei Spadovai, situata nelle immediate vicinanze
della strada.
La casera durante
la guerra era il centro logistico militare della valle. Vicino alla
malga una chiesetta in ricordo dei caduti del Battaglione Gemona; ci
sono, inoltre, resti di ricoveri militari e una caverna conosciuta con
il nome “Compagnia dei Briganti”
MALGA SOMDOGNA
Proprietà: Comune di Dogna (UD)
Quota: 1.430m slm
Dall’abitato di Dogna, si attraversa il fiume Fella e si risale l’intera
Val Dogna; superate le piccole frazioni della vallata, dopo aver passato
la malga Plan dei Spadovai, situata nelle immediate vicinanze della
strada, si giunge a Sella Sompdogna e in breve all’omonima malga.
Da casera Sompdogna si apre un ampio panorama sulle principali vette
delle Alpi Giulie ed è il punto di partenza per chi vuol salire al Jôf di
Miezegnot, ai cui piedi si trovano i ruderi di un monumentale villaggio
di guerra. Una delle costruzioni, debitamente ristrutturata e denominata
ricovero Battaglione Alpini Gemona, è stata attrezzata come accogliente
bivacco.
Ricovero Battaglione Gemona
Alt. m. 1890. Posto poco a O dalla cima di Jof di Miezegnot - sempre
aperto incustodito con 3 posti letto. Si arriva dalla S.la Sottodogna (Val
Dogna o Valbruna) per CAI 609, percorso escursionistico.
Ricovero Bernardinis
Alt. m. 1907. Posto poco sotto i due Pizzi, nella zona dello Jof di
Miezegnot - sempre aperto incustodito con 5 posti letto. Si arriva da
Malborghetto, Forchia, Cianalot CAI 605 poi per CAI 649, escursionistica
ore 3.15, o da V. Dogna (rotabile della Val Dogna) per CAI 648 alla
Forchia Cianalot poi CAI 649, percorso escursionistico ore 2.
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